di Ada Negri
Salve, fratello.
Tu non mi conosci,
non so il tuo nome: non ti vidi mai
prima d’ora. Qui, dove t’incontrai,
mugghia il fragor de’ carri e batte il polso
vibrante de la strada affaccendata.
Ognuno accorre con lena affannata
verso il suo sogno e il suo dolore. Ognuno
s’urta, senza guardarsi. Ed io ti miro,
live passando – oh, il tempo d’un respiro,
oh, il tempo d’un addio breve, d’ignota
a ignoto, in mezzo a la ruggente via:
– Dio ti salvi, fratello – e così sia. –
Non m’importa saper donde tu venga
né chi tu sia, né che farai domani.
Non m’importa saper se le tue mani
sien pure. O nato, come me, da grembo
dolente; o fatto de la stessa carne;
o preda de le stesse adunche e scarne
unghie de l’Ombra che in silenzio attende
dietro una porta, a l’angolo d’un muro,
per colpir quando il colpo è più sicuro:
tu che piangesti come forse io piansi,
volgiti a questa voce de la via:
– Dio ti salvi, fratello – e così sia. –
Pel dondolio de la lontana culla
che ti cullò; pei baci di tua madre,
se madre avesti che di sue leggiadre
cantilene protesse il tuo riposo;
per le poche dolcezze e per le molte
lacrime, e le speranze che hai sepolte,
come piccoli morti, in fondo al cuore;
pel senso oscuro de la vita, uguale
in tutti; per la sacra ansia immortale
che sospinge le razze a l’avvenire;
per la tua fede e per la fede mia,
– Dio ti salvi, fratello – e così sia. –
E vada, come a te, questo saluto
a l’ampia folla che le strade ingombra;
a la donna che passa, ombra ne l’ombra,
contro i muri, velata: a chi un amore
insegue, o un odio, o il pane: a l’uom del maglio
o del telaio, fiero del travaglio
compiuto, e gaio d’una sua canzone:
al poeta, al fanciullo, al morituro
che sogna, e crede eterno il suo futuro,
e domani, con me, con te, dissolto
andrà pel cosmo in onde d’armonia:
– Dio ti salvi, fratello – e così sia. –
Strano destino quello di Ada Negri che, all’epoca in cui visse, già dai suoi primi esordi, ebbe da un lato il pieno favore dei lettori, il riconoscimento di professori, giornalisti, editori, una grande fortuna scolastica e il plauso di Carducci e della critica ufficiale, dall’altro il dissenso del Croce, che addirittura definì impoetici i suoi versi, e l’ostilità del Russo.
Appassionata interprete delle ragioni e delle aspirazioni degli umili, secondo un percorso non inusuale degli intellettuali del tempo che, partiti da temi sociali approdarono all’esaltazione del fascismo, da “vergine rossa”, com’era stata denominata perché sostenitrice delle nascenti idee socialiste, dalla parte dei più emarginati, delle sofferenze degli operai, del riscatto sociale e delle lotte in fabbrica, finì per essere acclamata poetessa d’Italia e prima donna Accademica d’Italia, gradita al regime, per la centralità data ai valori tradizionali come la famiglia e per il tono populista ma calmo dei suoi scritti.
In seguito, poi, rivolse maggiore attenzione allo studio del proprio animo, scrutando nel profondo dei sentimenti e lasciando anche emergere la sua nascosta inclinazione religiosa, confluita letterariamente nella stesura di un’ agiografia di Santa Caterina da Siena.
Nata a Lodi nel 1870 in una famiglia di umili origini, (sua madre, Vittoria Cornalba, lavorava in filanda, suo padre Giuseppe, del quale ben presto restò orfana, era un manovale), Ada Negri conseguì il diploma di maestra nel 1888 e subito dopo ebbe un incarico nella scuola elementare, insegnando per diversi anni a Motta Visconti, di qui l’altro appellativo di “maestrina di Motta Visconti”, alternando all’insegnamento l’attività giornalistica e quella di poetessa.
Nel 1896 si sposò; separatasi, poi, dal marito cominciò a viaggiare, soggiornando a lungo anche in Svizzera, da dove ritornò allo scoppio della prima guerra mondiale per prestare la sua instancabile opera in ospedale.
Vincitrice del premio “Mussolini” dell’Accademia d’Italia, nel 1940 fu poi invitata, unica donna, ad aderirvi.
Feconda e varia fu la sua attività che si dispiegò nella composizione. di poesie, novelle, racconti, pubblicati sulle pagine dei quotidiani e delle riviste milanesi, e romanzi, in cui sempre emerse la particolare sensibilità con la quale esprimeva la nostalgia per la semplicità del mondo umile dal quale proveniva e il ricordo della povera infanzia rischiarata dall’amore della generosa madre, “madre operaia” (come recita il titolo di una sua poesia in cui omaggia la fatica delle donne), semplice popolana, ricordata con rimpianto ed ammirazione perché con molti sacrifici era riuscita a far studiare la figlia.
Famosa soprattutto per “Stella mattutina”, il romanzo palesemente autobiografico in cui rievocava l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza, che riscosse un enorme successo, Ada Negri esordì con la raccolta di versi, sostenuta da solide strutture metriche, “Fatalità”, pubblicata nel 1892, animata da combattivo spirito socialista ed inclinazione femminista che la qualificarono subito come “poetessa sociale”. Seguirono altri volumi di poesie, come”Tempeste”, nel 1895, Maternità, nel 1904, Dal profondo, 1910, “Esilio”, nel 1914, “Il libro di Mara”, nel 1919, con evidenti influssi dannunziani, ” I Canti dell’isola”, nel 1924, “Vespertina”, nel 1930, due libri di racconti, “Finestre alte” nel 1923 e “Le strade” nel 1926, “Il dono”, nel 1936, Erba sul sagrato, nel 1939 e, postumo fu pubblicato il volume di prose e novelle l”Oltre”.
Ada Negri morì a Milano nel 1945. FONTE