di Giovanni Trapanese
“Amore è cera : ribolle liquido, vivido, ammasso informe rovente, fin tanto che non si rapprende, e allora rimane lì, inerme, immemore di ciò che era prima, ignaro di quel che sarà.” Rilesse nella mente quello che aveva scritto tanti anni prima, mentre ora giocava con una candela accesa, facendo cadere alcune gocce. E aspettava, che quelle s’asciugassero, per poi tirarle via. Ma ne restava il segno, una specie di candida cicatrice. Sorrise fissandone una che sembrava un naso umano. Poi alzò lo sguardo, e incrociò quello della moglie. “Stavo riflettendo, scusa…”. Rimise al suo posto la candela, e spazzò tutt’ intorno con gesto deciso. “Non so, forse alcune cose sarebbero potute andare diversamente..”. Prese tempo. “Con un po’ più di coraggio… un po’ più d’amor proprio…”. Si toccò il naso, impercettibilmente. “Alla fine, non credo d’essere un cattivo marito, no?”. Non rispose. “Ah, certo”. Annuì più infastidito. “Lui…lui sì che invece…”. Fuori luogo. “Chissà che t’avrà promesso… e a che cosa, avrai creduto…”. Ancora peggio, non era questa la strada da percorrere. Esser delatori spesso comporta responsabilità e pericolosi paragoni. Stava pensando d’andarsene via, magari regalandosi un qualche gesto teatrale, uno squallido contraltare al senso d’ira che gli attanagliava la bocca dello stomaco e lo faceva sentire tremendamente nauseato. Ma quel silenzio era più fastidioso, puzzava di rassegnazione e tagliava come pezzi di vetro sotto la sabbia. No, sarebbe rimasto ancora. “E’ facile starsene zitti…eh ?”. Forse il tono era eccessivo. Era meglio restar calmi, per certe cose ci vuole sapiente delicatezza, a volte, persino paura d’esser se stessi. Alzò gli occhi al cielo. “Fra poco pioverà…”. Le divagazioni sono utili solo per chi le fa, gli altri aspettano il colpo al cuore o il successo morale. Di solito. “Scusa”. E ci voleva tanto. Ma non poteva certo aspettarsi che lei cedesse facilmente. “Io… io non ti dico che non ho colpe.” Questa poteva funzionare. Ma si mise a pensare, così, d’improvviso, che in realtà non ne aveva davvero. Insomma, ognuno è come è, e in fondo ogni donna, come aveva letto in quel libro, s’innamora del contrario di quel che vorrebbe e prova a cambiarlo con spirito da crocerossina, e malcelata leggerezza. Ma se c’era una cosa che non poteva dire adesso era proprio quel che pensava. “E ti ho già spiegato, mi sembra, che ti capisco, che capisco che cosa ti… ti ha spinto”. Ah, questa è grossa. Stava esagerando? Ma, sì, certo, la maturità è saper valutare con obiettivo distacco ciò che vent’anni prima t’avrebbe incendiato, anche se aveva sempre profondamente temuto che potesse mutare d’improvviso in gelido distacco. “Credo che tante cose… fossero… più che altro… segnali… e… e… io non li ho capiti”. Sarà anche vero, ma faticava ad ammettere che toccasse a lui a fare un passo tanto impegnativo verso chi si dimostrava più granitica persino delle sue stesse certezze. E aveva paura quando non riusciva a scalfirla neppure mettendosi tanto in gioco, era come se sentisse d’aver pescato nel fondo delle riserve del suo animo senza esser neppure visto. O forse no? Ebbe l’impressione, per un attimo, di aver lasciato il segno. Sorrise leggermente, quasi un ghigno, e temette appena un istante dopo che fosse stato notato. Tornò serio. Scosse la testa. “Sono stato così… sì, non li ho capiti…”. Pateticamente teatrale. “Ma non significa che tu non fossi per me….”. Si fermò un istante. Non cercava le parole. Ripensava alla storia con la maestrina d’asilo, che aveva un bel culo e vent’anni meno di lui, quanto basta per essere considerata notevole, certo, ma non per travolgere un uomo che si riteneva tanto importante. A torto, forse, ma la concezione che creiamo di noi stessi in noi stessi accompagna e giustifica la maggior parte delle azioni. “… non significa che abbia mai pensato d’ aver smesso di volerti bene…” Poco… “… di amarti”. Adesso basta. Questa donna, senza dire una parola, aveva una tale forza? O forse ne era davvero ancora innamorato, e la paura che sentiva di restar solo, era soltanto un segnale, un graffio che il sentimento che teneva rinchiuso chissà dove, lasciava impresso nelle pareti dei suoi pensieri? Troppo complicato. Pensò che la sincerità sconfinante nell’iperbole potrebbe anche far comodo, se non avesse un’infinità di controindicazioni. “Non mi dici niente?”. Scandì bene. Voleva che emergesse quello sdegno che iniziava, cancro divorante, a crescere in lui. Aveva sempre pensato che fosse più dignitoso un imbarazzato silenzio, che una fastidiosa verità. E si sentiva nudo, adesso, che il silenzio non era più suo. Cercò di fissarle gli occhi. “Sei cattiva. Non è giusto”. Si chinò, e afferrò i fiori ancora avvolti nella carta di giornale umida, posati sull’erba. Li mise nel vaso, recidendo qualche gambo. Fissò la lapide. Erano passati cinque anni.