di Barbara Coacci

La tangenziale era quasi deserta. L’uomo teneva le mani serrate sul volante, le nocche quasi bianche per lo sforzo. Aveva gli occhi stretti, circondati da piccole rughe. Guidare di notte gli dava fastidio. La donna seduta al suo fianco lo guardava con insistenza. “Sei molto silenzioso, stasera”, proruppe ad alta voce. La  musica di una vecchia canzone frusciava dalla radio.

“Lo sai che non mi piacciono le feste. Sono solo stanco”, rispose l’uomo, “ho voglia di tornare a casa”. I lampioni lungo la strada illuminavano a intermittenza l’interno della macchina, rivelando le loro facce pallide e tirate. La donna si aggiustò gli occhiali sul naso, strinse la borsetta che teneva sulle ginocchia e si voltò verso di lui.

“Ti ho visto”, disse, poi si schiarì la gola e ripeté più forte, “ti ho visto”. L’uomo inarcò le sopracciglia, e lei riprese: “la ragazza che ballava vicino al nostro tavolo ti ha dato qualcosa, un biglietto, non so. Ti ho visto metterlo in tasca”. L’uomo si morse il labbro.

“Era un biglietto, vero? La conosci, non è vero?”, incalzava lei con una voce stridula.“Smettila, sei patetica”, disse l’uomo. La donna si protese verso di lui e si aggrappò alla sua giacca, nel tentativo di raggiungerne le tasche. Poi prese a strattonarlo per il colletto della camicia, e gridò: “Dove hai messo quel biglietto? Dove?”

L’uomo si agitava sul sedile per cercare di divincolarsi. La macchina sbandò. La donna gli passò sotto le braccia e cominciò a frugargli i pantaloni alla rinfusa. Le caddero gli occhiali. Mentre cercava di recuperarli lui le ripeteva di smetterla, di fermarsi. “Finiremo fuori strada”, le disse ancora, ed abbassò lo sguardo. Dalla tasca destra dei suoi pantaloni spuntava il lembo di un pezzo di carta.

L’uomo lo  sfilò dalla tasca e lo strinse nel pugno. Nel sollevare gli occhi vide un’ombra che sfrecciò davanti ai fari. Frenò di colpo aggrappandosi al volante. La donna finì tra le ginocchia dell’uomo e la parte bassa del cruscotto. Qualcosa era passato sotto le gomme dell’auto, un piccolo sobbalzo, poi più niente. L’uomo fermò la macchina e spense il motore. La donna si era sollevata lentamente ed aveva tracce di sangue sopra l’orecchio destro. Le lenti degli occhiali si erano rotte. Piangeva.

Scesero dalla macchina e si voltarono verso il tratto di strada appena percorso. Un gatto giaceva sull’asfalto. L’uomo si avvicinò all’animale, si chinò su di lui e rimase accovacciato per un po’ con il biglietto in mano. Le dita gli tremavano mentre tentava di aprirlo. “Cosa stai facendo?”, chiese la donna. L’uomo ebbe un sussulto. Accartocciò il biglietto ancora piegato, lo lasciò cadere e si drizzò sulla schiena.

Tornò dalla donna a testa bassa. “E’ morto”, disse. “Mi dispiace”, fece lei, “è colpa mia, mi dispiace”. Risalirono in macchina.  Lui la guardò.“Sei sporca di sangue”, disse, “torniamo a casa”.“Sì”, rispose lei con un filo di voce.

Abbassò il parasole per guardarsi nello specchietto e tamponò la ferita con la manica del maglione.