Di Francesca Bartolucci

 

Accidenti sono in ritardo. Devo fare questo colloquio di lavoro e sono in ritardo. Anzi no, devo “sostenerlo” è questo il termine che usano e che amano sentir usare i selezionatori, devo ricordarmelo.

Continuo a girare in auto intorno allo stesso isolato, mi chiedo perché ci siano dappertutto lungo il bordo della strada questi inquietati rettangoli di asfalto delimitati da righe blu e mi chiedo perché lo spazio dentro le righe non sia mai vuoto, ci sarà lo zampino di una qualche divinità malefica del parcheggio.

Ok sono arrivato. Sarebbe stato meglio arrivare in anticipo all’appuntamento.

Ho individuato il numero civico che m’interessa e anche l’ufficio dove mi attendono; ora riprendo fiato e mi presento:

“Buongiorno, sono Carlo Ruggeri e devo “sostenere” un colloquio con la dott.ssa Salvi”, dico accennando un sorriso alla ragazza che mi accoglie da dietro la scrivania.

“Buongiorno, la dott.ssa Salvi sono io”, mi svela, allungandomi la mano destra da stringere e prosegue: “Le chiedo una cortesia, se prima del colloquio gentilmente può compilare questa scheda informativa” e sfodera, con l’abilità di un prestigiatore, un foglio stampato avanti e indietro, che mi porge con la mano libera dalla mia stretta.

“Si accomodi in una di quelle sedie là”, mi consiglia indicando una serie di poltroncine scure, munite di tavolino, che a tradimento si sono materializzate alle mie spalle, senza che me ne accorgessi.

La dottoressa Salvi indossa un tailleur grigio; una maglietta verde in microfibra le sbuca da sotto la giacca; ha i capelli ricci lunghi fino alle spalle. Durante lo scambio di battute, che abbiamo avuto, ha sempre mantenuto un sorriso di circostanza, cortese; è carina, ma questo dettaglio risulta irrilevante dato che questo non è un appuntamento amoroso. Sembra più anziana di me soltanto di alcuni anni; per un colloquio di lavoro mi ero immaginato una persona più matura. Deduco che la situazione volge a mio favore, vista l’inesperienza della mia selezionatrice per me sarà più facile affrontare e superare il colloquio.

Dopo essermi accomodato nella poltroncina laterale, m’immergo nella compilazione del complicatissimo modulo. La scheda insiste sulle date e dati che riguardano la mia vita, che non riesco a soddisfare visto che non ne ricordo la maggiorparte. Esasperato chiedo alla signorina, che nel frattempo si è immersa in alcune scartoffie: “ Scusi, posso omettere tutte queste date che sono richieste nel modulo?”. Con aria stupita la dottoressa mi dice: “Veramente no, a meno che non abbia un curriculum vitae molto dettagliato da allegare alla scheda, che supplisca in qualche modo”, “ Un curriculum?” penso e poi  mi confido con lei “Ah sì, perché serviva? Forse ne ho una copia in macchina, come faccio?”. Comincia a squillare il telefono sulla scrivania della dottoressa, lei appoggia la mano destra sul ricevitore e prima di sollevarlo, con aria ironica mi dice: “Magari, lo va a prendere?!?”.

Questa giovinetta, oltre che costringermi a compilare una scheda che è un rompicapo, si permette anche di prendersi gioco di me, penso, mentre lei inizia la sua conversazione telefonica.

Con aria scocciata esco a prendere il curriculum, rientro e proseguo nella compilazione. La signorina ha smesso di parlare al telefono e si è immersa nuovamente nelle scartoffie di prima, allora richiamo la sua attenzione: “Scusa, devo scriverlo per forza il numero di cellulare?”. Sollevando lo sguardo dall’ennesimo documento che sta controllando, risponde: “No, non è costretto, ma potrebbe essere utile qualora, avendo una proposta di lavoro, il nostro ufficio del personale tentasse di contattarla”. Sono consapevole di non avere nessun valido motivo, se non un senso di sfida che ormai si è impossessato di me e della situazione, ma provo a contrattare: “Potreste anche telefonarmi a casa”, “Certamente e dopo aver tentato senza successo di contattarla al suo numero telefonico di casa, saremmo legittimati anche a chiamare il candidato successivo”.

Dopo tanto sarcasmo, che giudico immotivato, senza porre nessuna delle mille nuove domande che mi assillano nella compilazione di questo trigonometrico modulo, concludo il riempimento degli spazi vuoti sul foglio, ma decido di glissare comunque su tutte le questioni che ritengo inutili, di cui non ho ricordo o che ritengo dei dettagli.

Con il foglio già compilato e l’animo pieno di aspettative, ma anche un po’ innervosito e confuso da tutti quegli interrogativi, mi presento alla signorina, dicendole: “Io avrei finito, quando posso sostenere  il colloquio?”

“Se lei ha tempo, cominciamo immediatamente. Si accomodi pure”, mi dice indicano indicando una sedia, che stavolta avevo già individuato, avvicinandomi alla scrivania.

Il colloquio prosegue in modo abbastanza scorrevole, senza domande complicate, sembra più una chiacchierata tra due conoscenti, se non fosse per il fatto che la ragazza, ogni tanto prende appunti su un foglio che ha davanti a sé appoggiato sulla scrivania, accanto alla mia sudatissima scheda. L’unica cosa che non capisco, è il motivo per cui la selezionatrice continua a rivolgersi a me usando la terza persona, mentre io dall’inizio le sto dando del tu. A dire il vero di quando in quando durante la conversazione ho tentato di darle di nuovo del lei, ma alla prima risposta più articolata delle altre, con cui tentavo di spiegarmi meglio, le davo del tu.

Il colloquio si sta ormai concludendo, la dottoressa scorre nuovamente la scheda, che ho faticosamente elaborato e mi domanda inaspettatamente: “Ha sorvolato la parte in cui le si chiede di indicare pregi e aree di miglioramento caratteriali. Vorrei chiarirle che la questione non è motivata da un’analisi psicologica, ma un’opportunità che…”. Imbarazzato, ma soprattutto spiazzato e senza alcuna risposta, tentenno: “La richiesta mi sembrava così personale e poi… poi ecco, sì… le righe dove avrei dovuto inserire le risposte erano così strette, da farmi apparire soffocata e incompleta qualsiasi risposta”.