Di Marco Marinelli
La fine non era quella che voleva. Quando nell’aria umida il respiro grasso uscì dai polmoni, si guardò le mani, le dita erano rigide e contratte, non riuscivano a rilassarsi. Il sangue era già diventato vischioso, non aveva mai fatto caso a come coagulato fosse così scuro, non era bello averne le mani sporche. L’ unica certezza era che aveva ucciso sua moglie, tutto il resto era vago e sfocato, coperto dal pulsare frenetico del cuore e dal sudore nella schiena che si stava asciugando. Potevano essere passate ore o minuti, non lo sapeva, un vago senso di stordimento disorientava la sua percezione dello spazio e del tempo. Quella notte tutta la campagna sudava intorno a lui, dalla strada ferita dei cingolati, al l’erba stropicciata dei terreni, tutto era appannato da un’aria appiccicosa e unta. Con le mani in tasca chiuso nel suo cappotto troppo corto, un regalo della moglie che non aveva mai voluto cambiare, se ne andò verso la strada con passo fragile, mentre lacrime di follia solcavano un viso ancora senza rughe. La casa che avevano affittato per il week-end era anonima, priva di calore e armonia. Una casa spersonalizzata, quello che serviva, di tutti e di nessuno, luogo ideale per una storia da chiudere in tristezza e miseria. La fioca luce nella finestra al primo piano, un quadratino che si stava lasciando alle spalle, era l’unica possibilità che desse l’idea di una presenza umana; il resto era inghiottito dalla notte. Nella sua testa tutto girava come una giostra impazzita, con picchi e rotazioni mai raggiunti nella sua vita, ora era tardi per tornare indietro e giustificarsi.
Voleva confessarle la sua relazione. Il matrimonio e l’amore erano finiti da un pezzo, uno sterile tentativo di ricucire un rapporto logoro lo si era tentato solamente per fugare ogni ragionevole dubbio che stessero facendo la cosa giusta, avere così una coscienza immacolata per guardarsi la mattina allo specchio senza rimpianti. Il loro figlio era li, a testimoniare che qualcosa aveva funzionato, ma con il tempo erano subentrati l’arroganza, la competizione e l’insofferenza reciproca. Il coltello era diventato vivo nelle sue mani in un attimo, come in un film, sapeva che il rimorso lo avrebbe perseguitato per il resto dei suoi giorni, ma un minuto di lucida follia era quello di cui aveva bisogno, quello che lo avrebbe soddisfatto. L’omicidio sarebbe stata una macchia indelebile nell’animo, un prezzo altissimo da pagare, già la nausea era profonda, ma non era pentito. Aveva solo voglia di vomitare, riprendersi, come quando si è ubriachi, svuotare l’eccesso per ritornare in equilibrio e tarare il proprio sistema. Quel dannato pomeriggio voleva partire presto, godersi un’ora di pallido sole autunnale che avrebbe riscaldato il cuore, mortificato da come tutta la loro storia fosse scivolata via. Ricordare come era caduto leggero e senza peso su quella donna e sul suo fascino, di come era stato ammaliato da una seduzione frivola e fanciullesca, lo impietosivano. Ma poi quell’ amico, entrato nella loro vita come vicino di casa, era diventato un peso nella loro vita coniugale. L’ uomo aveva sballato i suoi valori emotivi, le sue vedute, rimesso in gioco con una capacità adulatoria, il suo essere, il suo ego, l’aveva portato a preferire i complimenti che gli rivolgevano le persone del suo stesso sesso, a vedere finalmente in mondo con un’altra ottica. Tutte queste considerazioni ora erano inutili, la gelosia lo aveva accecato, lei aveva una relazione. Anche lui aveva un amante, quella del week-end era l’occasione definitiva per chiarirsi, diceva di restare amici, ma lei, che lo anticipava sempre in tutto, lo aveva fatto anche questa volta, come sempre in modo inopportuno, ma questa volta non gliela aveva perdonata, perché l’uomo che lei amava era anche il suo amante.