Di Rita del Mare
– Che “fai” da grande? –
– il carabiniere, il veterinario…il postino, si, il postino. –
Capivo il carabiniere, anch’io subivo il fascino della divisa. Capivo il veterinaio, tentava la rianimazione del cardellino traumatizzato dall’artiglio del gatto. Ma il postino?
– Perché il postino? –
Alza le spalle. – Così, mi piace. Sempre in giro. Con una borsa colma di carte colorate. La gente che ti ferma “C’è posta, oggi?” –
– E tu che “fai”? – mi domanda.- Il pompiere – rispondevo senza esitazione. Già irremovibile nella scelta..
– Ti piace il fuoco? –
– No, l’acqua. –
L’acqua. Cioè la tenacia ostinata della sua forza liquida capace di soffocare l’irruenza del fuoco. E l’acrobazia dei salti dal castello di manovra, che vedevo dalla finestra durante le esercitazioni, l’arrampicata veloce sulle scale sospese, la ripetizione degli scivoli sui teloni di salvataggio.
– Ed io la maestra – s’ intromette Lucia, agitando un quaderno pieno di segnacci rossi. Un foglio si stacca e plana sul cortile sottostante.
– Bastaaa !!! – “Riccio rosso” si sporge dalla finestra del Banco di Napoli, rovescia il capo e ci chiude dentro il suo grido: – Smettetela, c’è gente che lavora, qui!La finestre tacciono di colpo.Parlare al telefono è lavoro? Giocare con il computer è lavoro? Il veterinario, è lavoro. Il pompiere, è lavoro. La maestra? Humm…. la maestra…. – Basta – La voce ha perso il tono del rimprovero. – Disinfetta ora –Nell’aria, l’odore acre dei medicinali. Dentro il mio spazio visivo, Serafino strizzacervelli, che fruga lo schedario, e l’infermiera che si muove senza spargere rumore.Nel tempo, il presente della paraplegia, il mio presente immobile.- Che ci dovrei fare con questa vita? – grido. Uno scatto preciso e la lettiga schizza sulle ruote e rimbalza contro l’armadietto.Vetri infranti, zampilli colorati, cascate di polvere iridescenti.Una mano mi inchioda le spalle.- Tutto quello che è possibile in alternativa alla morte. – La voce del professore. La mano ruvida del professore.- Non il pompiere? – è già un gemito.- Non il pompiere – la certezza del professore.Sopra la mia testa s’incrocia un’occhiata. Direzione “Serafino-Professore, Professore-Serafino”. Si gela poi sopra la mia testa; Ha punte di ghiaccio che scavano ferite; Nell’aria fluttua l’attesa dell’infermiera.- Ma io voglio fare il pompiere. – è già un pianto, è il via all’azione.L’infermiera si muove con rumore, la paura trema nei suoi occhi di adolescente. Le daresti sedici anni. Gracile. Innocente. Sta imparando il mestiere?- Bugiarda! – grido – Volevi fare la maestra e ti insozzi tra l’orina, il pus, il sangue, il vomito della vita!La mano è una pressa che schiaccia le scapole.- Il pompie-re… – è già un rantolo.- Si, il pompiere – mi conforta Serafino – E’ per fare il pompiere, vero, che volevi saltare dalla finestra?! –
Continua a blandirmi. Mi pensa pazzo e io faccio il pazzo. Mi crede storpio e faccio lo storpio. M spera uomo e sono solo un feto di paura nel buio del nuovo sedativo.
La siringa nemmeno l’ho vista.