Di Giuliano Pascali

Gobbe lucertole s’attorcigliano sotto terra a fare una guerra con l’inverno inventando un letargo che ai rettili non sarebbe concesso. Tutt’altro che ribelli si addormentano i mostri.Provocazioni di natura, sublimi nel loro verde si ingrandiscono per mostrarsi ancor più splendide del sole che soglion prendere. Aguzzi hanno i denti a salvarle da un ingegno che vivace non è quanto i loro occhi da pazze sposati alle mosche che parlano la stessa danza.Sottili custodie di una striscia di lingua, bastone da rabdomante per gli insetti che è spesso in primo piano nei documentari e starebbe bene anche ad un umano che di baci ne facesse miniera….Se le mangiava insomma. Quando la coda reggeva o si spezzava sopra la boccacon ostentato gesto da buongustaio. Altrimenti per il corpo sospinte se le cacciava in gola, poi andava a pranzo. Un antipasto, tutto qua. Matto sì e un po’ curioso passava il meriggio dopo pranzo su quella montagnetta di ghiaia meno alta di lui disteso con una coperta affianco rossa che teneva vicino per questioni cromatiche.

Sorrise vacca d’un boia poi disse il sole tramontava, 30 anni da mantenuto, un buon bottino per lui, un altro ci avrebbe sofferto. Forte di ciò se ne beatificava lisciando i capelli unti con le mani interrate. Simbiosi che asciugava i capelli e le mani puliva. Era ora di cercarsi del cibocome un gatto saliva in casa, felino gli scalini e alla mamma compiacente carnefice regalava il piacere di nutrirlo. Ma lui quali seni avrebbe mangiato?

Lucertole per distinguersi unghie per omologarsi e per cura personale. Pensava al futuro senza progetti per sgombrarsi la mente.  Poi se ne usciva e s’acciottolava per strada cercando di imitare la forma di quel sasso suo compagno di sonno in quella pace raggiunta che premiandosi si iniziava a gustare.

Riaprì gli occhi e vide che invece il suo compagno di sonno ancora dormiva, impazzito d’ira prese a picchiarlo di testa fin quando praticamente abbracciati non si ritrovarono stremati in simmetrico riposo.Al secondo risveglio, evitò la provocazione, non cercando lo sguardo eignorando se il sasso fosse ancora lì corse a medicarsi. Il dolore lo spingeva al pari di un buon vento la vela e navigando così con le idee chiare raggiunse in perfetto stato di lucidità, l’acqua ossigenata.Non se la sarebbe bevuta così si medicò come si deve, esagerando con l’ovatta e con una corona di cotone, andò a ubriacarsi. La sete. Andò prima a dirlo alla madre per farla delirare un po’ anche lei e poi spinto dalle di lei grida si allontano’ abbracciato dalla netta sensazione di esistere tra le calde braccia del bruciore in testa e del presagio di sbornia annunciata.AHh! Ma si ricordò! prima le lucertole. Era la razione serale quella più difficile, ma lui pensava che le difficolta’ davano sempre i frutti  ricchi. L’educazione sportiva di un fascismo illuminato e buono lo avevano carrozzato di solide basi. Da aricchire e variegare con una collezione di errori in lui già insuperabile.Se ne cacciò giù tre di fila e i suoi occhi somigliavano già ai loro, poi li strizzò deglutì respirò e controllò la lingua. Niente, quella ancora no. Via  a bere di questa lingua che di cangiar non ne vuo’ sapere. Festeggiare. Ma un giorno le avrebbe fatte impazzire tutte con dei baci  unici  morbidissimi carezzevoli un genio come lui con uno strumento del genere cosa non si sarebbe inventato. Poi la voce si sarebbesparsa e allora le ragazze si sarebbe sfigurate per averlo. Gliel’avevano detto al pub la Jusy ela Lucy che se avesse avuto la lingua di lucertola avrebbero litigato per provarlo…Totalmente ubriaco incontrò quello che gli aveva fregato la ragazza. Lo guardò con aria indifferente e si prese di soprassalto che era brutto assai che così non se lo ricordava. Lo spavento si rilanciò in un elastico d’ira e giù pugni in faccia, precisi e generosi: con un intento visceralmente scultoreo tentava di renderlo meno brutto lui con tutto quel fattaccio. Squadrava bene prima di lavorare si trattava di scultura per sottrazione (niente errori insomma!) e non voleva poi sentire storie. Era un lavoro difficile perché mentre con il marmo il lavoro è subito evidente lui doveva prevedere le modifiche successive alla cicatrizzazione. Quando finì la sua opera pareva viva. Conscio del suo talento si arrestò soddisfatto con in testa la foto di Brad Pitt.Per festeggiare si buttò indietro dallo sgabello in un amplificato brindisi russo, raggiunto il suolo lì s’addormento come un bambino. Lo rialzarono con la sua corona di cotone incastonata di vivide gemme rosse. Quanta preveggenza in quel cotone, con le poche facoltà mentali che non si erano spente pensava a quanto fosse geniale folgorato dalla sua stessa preveggenza. Era salvo grazie a ciò e ora sullo sgabello troneggiava come un re cinto da due servili cortigiane la Jusy e la Lucy, che si prendevano cura di lui già beato.Tentò di baciarle e vide che a loro avrebbe fatto piacere. Quindi optò per andarsene.  La serata quell’oggi era fatta! “Ciao amori miei” salutò a metà corsa pensando nuovamente a come aveva sistemato iltumefatto, già desideroso di vederlo in forma. Inciampò un piede sul gradino d’uscita ma riuscì a non cadere proiettandosi in un brusco saltello;  mantenendo da lì in poi quell’andatura (per non dare nell’occhio) s’allontanò lungo tutto il vialetto.Superato il dosso scrosciò in una risata e iniziò a correre mentre la velocità gli sfilava la corona cambiandola in una papalina un po’ vivace ma pendant con la sua coperta preferita che lui sapeva a casa ad aspettarlo. Già piangeva e accelerava e si che smise solo quando la papalina gli si sfilò.Non si ricordava più niente ed era ormai a casa, sonno perfetto ne conseguì.