di Cristina Carisdeo
«Guardi, ho capito: domattina viene il tecnico e aggiusterà l’aria condizionata, ma per il momento non si può avere almeno un ventilatore? Ma come, un albergo a quattro stelle che non ha un ventilatore? Guardi, facciamo così, io sono alla 207, se mi trova un ventilatore me lo porti, a qualunque ora.»
L’uomo che ha chiamato la hall dell’albergo “Vesuvio” di Chiaiano è seduto al tavolino della piccola suite, avrà tra i quarantacinque e cinquant’anni, il volto in penombra è affilato, deciso, intelligente, gli zigomi sporgenti. Barba e capelli sono bruni e tagliati corti.
È stato mandato dall’onorevole Giancarlo Pini per quietare un po’ le acque e far vedere all’Italia e ai napoletani in particolare, che il partito si è mosso e che il suo rappresentante non lascerà il quartiere prima di trovare un accordo per la nuova discarica.
Dopo una settimana di piogge, il sole è tornato a risplendere accecante nel cielo di Napoli. Nonostante siano le sette di sera quando Vittorio Coppi scende dal taxi, nei cinque minuti che il ministro rimane davanti all’hotel per rispondere a una telefonata urgente, lontano dal climatizzatore dell’auto, la camicia gli si appiccica addosso, zuppa di sudore.
Alla reception si scusano subito perché l’aria condizionata non funziona, ma garantiscono che verrà presto ripristinata.
Dopo cena, Coppi si ritrova di nuovo in albergo e si sente soffocare dal caldo umido, spalanca la finestra della camera, ma presto un odore terrificante gli toglie il respiro, cerca un fazzoletto nella tasca destra dei pantaloni e immediatamente lo preme contro naso e bocca, poi si affaccia per capire che cos’è quel fetore e sotto di lui scopre decine di sacchi della spazzatura lasciati a marcire all’aria aperta. Li guarda inorridito. Non dovrebbe esserne stupito, in fondo non è lì per questo?
Fissa quello spettacolo con ribrezzo e poi qualcosa lo impressiona ancor più di quel tanfo. La spazzatura si muove, i sacchi si spostano, vanno da una parte all’altra, sembra un gioco strano, a incastro, un po’ come il quindici. Come se il vuoto lasciato da una busta di plastica dovesse essere subito riempito da un’altra. Si guarda intorno, sempre con il fazzoletto premuto contro il naso, ma non vede nessuno, osserva più attentamente e nella semioscurità gli sembra di vedere un cane randagio che attacca con voracità uno dei sacchi.
Ripugnato dallo scena, richiude immediatamente le imposte e decide che è meglio morire di caldo che asfissiati dalle esalazioni dei gas. Pensa anche ai suoi colleghi. Mentre quelli dormono tranquilli e sereni nelle loro case, lui deve lottare con il caldo e i gas della spazzatura. Questo è davvero troppo. Un sorriso amaro gli taglia il viso quando ripensa a quel cartellone pubblicitario che prometteva un soggiorno indimenticabile sotto le stelle di Napoli.
Esausto, Vittorio Coppi alle 3.10 prende sonno.
Poi li sente, arrivano a centinaia: Onde nere di ratti che squittiscono e corrono, una massa fluida che si riversa nell’albergo. La cucina è la prima zona a esserne infestata, poi tocca alla saletta e mano a mano i topi si arrampicano sulle scale e con i loro corpi agili e flessuosi riescono a passare sotto le porte e a entrare nelle camere. Sono enormi, più grandi dei gatti, grassi e viscidi. Si arrampicano sulle lenzuola, attaccano Coppi che prova a difendersi e lotta contro un ratto che gli affonda i suoi denti sull’avambraccio.

Madido di sudore, stremato, Coppi si sveglia, si guarda intorno e decide che, alle 5.40 di lunedì 14 luglio, c’è solo una cosa da fare: Chiamare un taxi e farsi lasciare in aeroporto.