-Cosa fai stasera?
-Esco (“E con chi?”).
-E con chi?
-Con Matteo (“Non far..”).
-Non fare tardi che domani ci si sveglia presto. L’aereo è alle 8. Alle 7 dobbiamo essere ad Orio al Serio. Mentre snocciolava la sua prevedibile sequela di banalità, non lo guardava. Teneva lo sguardo sulla prima pagina de “Il Giornale”, strizzando i suoi occhi minuscoli dietro le lenti spesse. La lampada della cucina, sospesa tra di loro come un’ incensiera , formava un riflesso unticcio sulla sua calvizie. Il notiziario alla televisione era un brusìo indistinto misto a cacofonia di stoviglie.
– Paolo, hai già fatto la borsa? La voce della madre arrivava attutita e vagamente metallica. Aveva la testa e metà del tronco infilati nella lavastoviglie. Era grande, la lavastoviglie. Come una caverna. La madre invece no.
– Si…. Mentì.
Il padre si limitò ad annuire e a voltare pagina. Poi riprese a stuzzicarsi il naso.
– Beh, ricordati la macchina fotografica che ti ha regalato la nonna per la promozione, quella digitale.
La giornalista in tv stava già lanciando il programma di varietà in prima serata. La birra era agli sgoccioli, e siccome ormai la pizza del sabato era finita, non ci sarebbe stato verso di aprirsi un’altra Ceres senza dare nell’occhio.
Io vado.
Al “Piccadilly” si era scolato altre due Ceres. Guardando Aldo che giocava al videopoker. Aldo passava tutti i venerdì sera e tutti i sabato sera al videopoker battendo forte sui pulsanti con le dita nodose, segnate dalla nicotina. Di solito se ne andava verso le due, poco prima che Salvo abbassasse la saracinesca. Ad un certo punto, Paolo si era voltato e aveva alzato lo sguardo verso l’orologio a muro, sulla parete opposta. Mezzanotte e trentacinque minuti. Di fianco all’orologio, dal cartellone appeso nello stesso punto da sempre, per quel che ne sapeva, una ragazza orientale vestita di rosso lo invitava con lo sguardo a bere il suo liquore. Il corpo di profilo in una posa innaturale, a formare una Z. In quel momento era arrivato il messaggio di Matteo. “Siamo già lì che cazzeggiamo. Porta delle birre”. Al bancone, aveva chiesto a Salvo una Moretti da tre quarti. – Non la aprire, la porto via.
Il Kimco dopotutto, filava via liscio, nel buio delle strade deserte. Alcune delle case, sul lato destro della strada, avevano ancora le luci accese. Erano per lo più villette bifamiliari, con un piccolo giardino di fronte. – Quelli dormono tranquilli e sereni- Gli venne da pensare. Di sicuro nessuno, come lui, si interrogava sul potere del caso. Sulla capacità dell’imprevisto di spezzare ogni ridicola e puerile pianificazione. Nessuno di loro sapeva niente sull’ebbrezza che può dare il dominarlo, quel potere.
Svoltò a sinistra senza rallentare e lanciò lo scooter sulla salita. In cima, la strada diventava pianeggiante e curvava a destra. Sul ciglio, prima della curva, seduti sui loro motorini Matteo e Filippo lo guardarono arrivare, smontare dallo scooter e issarlo sul cavalletto. In piedi tra di loro c’era una ragazza che non aveva mai visto. Stava fumando una sigaretta più lunga del normale e, ad ogni boccata, gonfiava le guance e poi inghiottiva. Lo stava fissando. Paolo porse loro la birra. Si era scaldata durante il viaggio nel bauletto.
– Mi sa che stavolta è il tuo turno – gli disse Matteo, tentando di sturare la Moretti col fondo di un accendino di plastica. Col mento gli indicò un cespuglio.
Finita la birra Matteo e Filippo salirono di nuovo in sella. La ragazza, a cui non aveva chiesto il nome, dietro Matteo. Accesero gli scooter e li girarono, tenendo il minimo coi fari spenti e pronti a scattare. Lo guardavano tutti. Anche la ragazza lo guardava. Un po’ più intensamente degli altri. O almeno così gli sembrava.
Accese il suo scooter, lasciandolo sul cavalletto, e si diresse al cespuglio. Raccolse le due pietre, una per mano. Erano lisce e fredde. Non sentiva fluire da esse alcun potere particolare. Comunque meno di quanto si aspettasse. Poi si incamminò verso il ponte sentendo vibrare sotto i piedi il rombo delle auto che sfrecciavano sull’autostrada.