di Sara Andreoli
È ancora nella sua busta trasparente, di quelle opache che sfumano i caratteri se si staccano un po’ dal foglio. Se ne sta là sopra come non fosse un documento importante, steso sul microonde sotto la pubblicità e la luce da pagare. Cartaccia, si direbbe.
Dovrei afferrarlo ancora una volta, lo so, prenderci confidenza, magari farne una copia, anche se servirà per poco. Ma non voglio toccarlo. Quei colori verdi sfumati tutt’intorno alla mia faccia, sotto la data di nascita, mi chiudono lo stomaco stretto. Grigio dovrebbe essere un foglio simile. Finirà che me ne tornerò a casa, lo so, a far contenta mia madre. A far contenti quelli e mia madre, in un colpo solo. Tornatene a casa tua, ma sì, che qui, l’hai visto, non c’è posto per tutti.
Prendo le chiavi della bici, ho bisogno di uscire, fare un giro all’aperto. Perlomeno finché mi è permesso.
I pedali vanno avanti da soli, spingerci sopra quasi non serve. Rosso, freno. Mi sorride la faccia gigante di una bella donna italiana che beve da un bicchiere alto, Cosa vuoi di più dalla vita? mi dice. Eh, potessi risponderti…
Ora la strada è più stretta e la via sale fino allo slargo. È piena zeppa piazza Verdi stasera, gremita di gente libera dai capelli lunghi seccati a ciocche, le gonne larghe, un sorso di birra dalla bottiglia dell’amico. Chi non ha un unico pensiero è libero, chi non è prigioniero di una cosa sola può dormire tranquillo. Come i bambini stanchi morti dopo una giornata di scorrazzate al parco: la sera dormono, eh sì, quelli dormono tranquilli e sereni.
Vedo un vecchio collega del reparto venirmi incontro a piedi:- Sì, sì, io tutto bene, tu?-
Quante energie per fingere. Del resto parlarne ora fa troppo male. Passato il tempo della rabbia mi è rimasto dentro un silenzio fiacco, un chissenefrega. Me ne andrò via. L’alternativa poi, quale sarebbe? Cos’altro potrei fare dopo che questo permesso di soggiorno, ritirato ieri come fosse nuovo di pacca, fra un mese sarà già scaduto? Come glielo spiego a mia madre che continua a dirmi di tornare, che se ho smesso di mandare quei tre spiccioli che mandavo è perché, chiuso un contratto di lavoro, nessuno ti riprende se hai la ricevuta del rinnovo soltanto?
-Ci dispiace, non dipende da noi signor Khatib. Qui in questura le abbiamo fatto avere il permesso nella data comunicatale, purtroppo vediamo solo ora che la scadenza del documento sarà molto vicina.- Molto vicina?! Avrei dovuto avere questa carta undici mesi fa, dopo quello che ho speso, e invece la ottengo solo ora, quando sta per scadere! Questo non può “dispiacere”, è drammatico.
Avevo ancora la volontà di difendere la mia persona, ieri. I miei pensieri erano combattivi, ora riposano nella stanchezza.
Dovrei afferrarlo ancora una volta, lo so, prenderci confidenza, magari farne una copia, anche se servirà per poco. Ma non voglio toccarlo. Quei colori verdi sfumati tutt’intorno alla mia faccia, sotto la data di nascita, mi chiudono lo stomaco stretto. Grigio dovrebbe essere un foglio simile. Finirà che me ne tornerò a casa, lo so, a far contenta mia madre. A far contenti quelli e mia madre, in un colpo solo. Tornatene a casa tua, ma sì, che qui, l’hai visto, non c’è posto per tutti.
Prendo le chiavi della bici, ho bisogno di uscire, fare un giro all’aperto. Perlomeno finché mi è permesso.
I pedali vanno avanti da soli, spingerci sopra quasi non serve. Rosso, freno. Mi sorride la faccia gigante di una bella donna italiana che beve da un bicchiere alto, Cosa vuoi di più dalla vita? mi dice. Eh, potessi risponderti…
Ora la strada è più stretta e la via sale fino allo slargo. È piena zeppa piazza Verdi stasera, gremita di gente libera dai capelli lunghi seccati a ciocche, le gonne larghe, un sorso di birra dalla bottiglia dell’amico. Chi non ha un unico pensiero è libero, chi non è prigioniero di una cosa sola può dormire tranquillo. Come i bambini stanchi morti dopo una giornata di scorrazzate al parco: la sera dormono, eh sì, quelli dormono tranquilli e sereni.
Vedo un vecchio collega del reparto venirmi incontro a piedi:- Sì, sì, io tutto bene, tu?-
Quante energie per fingere. Del resto parlarne ora fa troppo male. Passato il tempo della rabbia mi è rimasto dentro un silenzio fiacco, un chissenefrega. Me ne andrò via. L’alternativa poi, quale sarebbe? Cos’altro potrei fare dopo che questo permesso di soggiorno, ritirato ieri come fosse nuovo di pacca, fra un mese sarà già scaduto? Come glielo spiego a mia madre che continua a dirmi di tornare, che se ho smesso di mandare quei tre spiccioli che mandavo è perché, chiuso un contratto di lavoro, nessuno ti riprende se hai la ricevuta del rinnovo soltanto?
-Ci dispiace, non dipende da noi signor Khatib. Qui in questura le abbiamo fatto avere il permesso nella data comunicatale, purtroppo vediamo solo ora che la scadenza del documento sarà molto vicina.- Molto vicina?! Avrei dovuto avere questa carta undici mesi fa, dopo quello che ho speso, e invece la ottengo solo ora, quando sta per scadere! Questo non può “dispiacere”, è drammatico.
Avevo ancora la volontà di difendere la mia persona, ieri. I miei pensieri erano combattivi, ora riposano nella stanchezza.
-Pronto? Sì, buonasera signora Italia, abbastanza bene, grazie. Eh infatti… ieri non sono potuto passare… gliel’avevo detto, ricorda? Se ha bisogno per la spesa faccio un salto ora. No, no, nessun disturbo, tanto sto rientrando. Il vicino che ti è prossimo è preferibile al fratello lontano, dicono da me. Una mezzora e arrivo. Sì, a più tardi. A più tardi, Italia.-