Il dottore si alzò dalla poltrona dietro la scrivania e fece i pochi passi fino al lettino, batté una mano sul materasso di fintapelle e disse Venga, le prendo la pressione.
Lui si alzò dalla sedia. Sentiva il mondo intorno come attutito, come fosse dentro il puff del salotto. Si chiese Dove ho sbagliato? La dieta? Eppure faccio sport. La malattia del nonno? Ma no. Ha detto che è altro, che è una cosa diversa.
Il dottore misurò pressione e battito, poi ripiegò il manometro dentro un astuccio nero e, prima di tornare alla poltrona, indugiò davanti a una teca in vetro e ciliegio, con dentro tante coste di libri. Quando si risedette, lui stava ancora allacciando la camicia.
Il dottore fece Le confermo la mia prima ipotesi. Si tratta di spermatecdromia, disse, e levò gli occhiali. Non deve preoccuparsi, però. È una forma lieve. Le cose stanno così. I suoi spermatozoi, solitamente natanti paciosi e beati, qualora posti nelle vicinanze d’un bell’ovulo sano e rotondo, cominciano ad agitarsi di paura, scuotono la codina e poi fuggono, fuggono via. Diventa impossibile prenderli, una volta sgusciati da sotto il vetrino della biopsia.
E? E dove vanno? chiese lui.
In Svezia.
In Svezia?
Niente di strano, fece il dottore. È la miglior democrazia al mondo, un paese pieno di prospettive, e loro – come dire? – ci credono. Sono insomma giovani come tutti gli altri. Da lì, poi, spediscono una cartolina al laboratorio.
Lui si passò le mani sulla faccia. Oddio, disse.
Le ripeto, lasci le preoccupazioni. Certo, bisogna monitorare alcuni sintomi, ma consideri che la chimica di cui oggi disponiamo è potente, e che ancora sono validi alcuni rimedi popolari. Ecco, disse il dottore, e prese la penna e cominciò a scrivere. Prenderà questa per due settimane tre volte al dì, insieme a quest’altra ogni otto dieci ore, poi un ciclo di questo, e per un mese – mi raccomando – riposo e cibi sani.
Finì di scrivere e chiamò l’infermiera all’interfono. Disse Bisogna monitorare. Le farò approntare anche delle provette e uno scadenzario.
L’infermiera entrò e prese il foglio, poi uscì.
Lui chiese Dottore, è possibile una cura?
Non una cura definitiva.
Capisco, ma.
Dei miglioramenti. Quelli sì.
Dottore, ma noi vogliamo un figlio.
Mi ascolti, fece il dottore. Ne ho visti tanti come lei, della sua età. Vengono qui, a volte in coppia, dicono Noi vogliamo un figlio. E io dico È naturale. È naturale volere un figlio, ma si dovrebbe prendere coscienza che forse, di questi tempi, è naturale pure il non volerlo. Ci stiamo avviando verso l’estinzione, le prove giungono ormai da ogni parte. La spermatecdromia, per esempio, ai miei tempi non era arrivata, mentre ora è quasi endemica. Perciò le rispondo come a tutti gli altri: Bisogna prenderne coscienza, imparare a conviverci. Di spermatecdromia non si muore. Non è più mortale di un vaso che cade da una finestra o di una sequenza genetica corrotta.
Lui dice Dottore, sì, capisco, ma se lei potesse dirmi, le sarei molto grato, sapere che devo smettere il caffè, a saperlo smetto subito, dottore.
Tanta verdura e tanto riposo, fa il dottore. E niente alcol fuori dai pasti. E per il resto, stia tranquillo. Poi gli chiede come stanno la mamma e lo zio, e se la signora Tal de’ Tali ha partorito, e lui Bene grazie tutti bene, e già sente la voglia di andarsene, di fare due passi per pensare come dirlo alla moglie.
Il dottore si alza dalla poltrona, da dietro alla scrivania, gli stringe la mano, dice Arrivederci, e poi lo guarda uscire, chiudersi dietro la porta, uscire.