Ma se mi chiedevano, «Che lavoro fai? » Io dicevo la verità, «Faccio lo scrittore. E ogni tanto, per arrotondare, lavoro in fiera» Un mio collega, il Penna Bianca, una volta che gli ho parlato di questa cosa dello scrittore ha scosso la testa, «Tu sei soltanto uno che ha bisogno di un taglio di capelli »
Lo stavo aiutando con un piede di porco a rimettere un portone del padiglione 8 nella rotaia; poi siamo tornati un ufficio, a prendere altre disposizioni. Il Penna Bianca, se ricordo bene, non perdonava al mondo di essere cambiato dagli anni ‘60 quando, sosteneva, aveva fatto i soldi con l’affare degli zolfanelli. Era stato il primo a importare i fiammiferi in Italia. Aveva fatto un botto di soldi. Aveva messo su una televisione qui in città, poi l’aveva venduta e aveva fatto un altro botto di soldi. E dopo tutti questi soldi, a settantacinque anni, pensionato, ancora veniva tutti i giorni a farsi pagare quattro euro all’ora in fiera. Qualcuno mormorava anche Penna Bianca che fosse uno strozzino. Per come la vedevo io era un vecchio matusa. Non faceva altro che lamentarsi di quei puttani là in ufficio, quei troi che stanno tutto il giorno a fare un cazzo, diceva il Penna Bianca accendendosi l’ennesima Diana Blu, quei puttani. Andassero a lavorare in miniera, andassero. Suppongo che parlasse del nostro referente per la cooperativa, che proprio quando siamo entrati, era in pausa, davanti la macchinetta del caffè. Canticchiava la Samba de Janeiro. Faceva roteare il portachiavi sopra la testa e dondolava il sedere e a intervalli regolari faceva una piroetta, cambiava senso di marcia e gridava “Samba!”, per divertire la ragazza del desk. Per lo meno quella ragazza rideva. Di solito la vedevo sempre imbronciata. Quando siamo entrati, ci hanno guardati con l’aria di pensare, ecco i guastafeste.
«Avete già finito?», ha detto lui.
«Sì», ho detto io.
«Ottimo», ha detto il capo ufficio. «Andate nel retro e fate pausa».
Gli siamo passati di fianco senza obiettare che nel retro ufficio non c’era la macchinetta del caffé. Ci siamo seduti come due barbagianni sulle panchine di fianco agli armadietti. Di sbieco spiavamo la scenetta dalla porta socchiusa. Il referente ha ripreso con la Samba de Janeiro e Penna Bianca ha attaccato con le sue lamentele, «Te la dico io che le cose per la cooperativa qua in fiera van male… E poi la gente si meraviglia. Finché fanno comandare gente così! … A lavorare in miniera, andassero! Puttani! Troi!» Questo perché riteneva di meritare di essere lui il capoufficio. Ma non erano più gli anni ’60 e lui era un vecchio rosicone con occhiali a tartaruga, che fumava due pacchetti di Diana Blu al giorno. Ha tossito. Otto, nove colpi di tosse cavernosi, veementi. La sua pelle era secca, senza quel velo di naturale lucentezza che rivela il buon stato di salute di una persona. Per un attimo mi è sembrato il ritratto di un animale prossimo alla morte. Con sgomento mi sono sorpreso a chiedermi, Per quale motivo tu ti accompagni a uno così?