Il grande formichiere – e altre, piccole, favole in poesiadi Niki-Rebecca PapagheorghìouPoesie in forma di favola, favole nere, brevi, per adulti, descrizioni cristalline di paesaggi emotivi e sonori congelati nel tempo.
Tra le “Illuminazioni” di Rimbaud e i racconti brevi di Kafka, in alcuni momenti sembra ricordare alcuni interni dei diari della Pizarnik, come alcune favole poetiche della Ombres, o quelle più surrealiste di Gertrude Stein; con la rigorosa arte della tessitrice di storie, la scrittrice greca Niki-Rebecca Papagheorghìou porta rapidamente il lettore nel vortice della sua voce – voce profonda eppure leggerissima, materna eppure sola – una voce femminile ed enigmatica.
Poesie fiabesche popolate di animali, piante ed oggetti che saturano lo spazio del racconto aprendo al suo interno un silenzio denso, di riflessione, di poesia.
Il libro sarà inoltre arricchito dalle illustrazioni a colori, dal tratto inconfondibile della disegnatrice Giuditta Chiaraluce, con l’introduzione di Evanghelia Stead, post-fazione di Francesca Sensini e un ricordo dell’editore greco Stavros Petsòpoulos. Libro di grande successo in Grecia, già tradotto in Francia, di un’autrice ancora inedita in Italia.
***Niki-Rebecca Papagheorghìou (Atene, 1948-2000)o uomini, Ateniesi, Corinzi, Psichiatri e altri! Mi avete menomata!
All’università studia storia e archeologia, poi scrittura teatrale. Fin da piccola ha una relazione intima con scrittura, musica e pittura. Colleziona oggetti che compra al mercato antiquario di Monastiraki e accumula nella sua casa di Atene. Viaggia a Parigi, innamorata dell’arte surrealista e di Dalì, si ispirerà a quest’ultimo per il titolo Il Grande formichiere. Dopo le due raccolte di prose poetiche, pubblica Le due sorelle, un singolare fotoromanzo umoristico, costruito con fotografie di famiglia: Oltre a Kafka e ai surrealisti francesi, tra i compatrioti i suoi riferimenti letterari sono la generazione degli anni ’30, in particolare Nikos Karuzos, e tra le contemporanee Kikì Dimoulà e Maro Duka. Le sue opere sono lodate da scrittori come Evghenios Aranitsis e da critici come Takis Mendrakos. Nel 2000, la sofferenza psichica che la accompagna da sempre la porta al suicidio, che ha già tentato varie volte. Nel 2017 Il grande formichiere è stato tradotto in francese da Cheyne editore
***
a cura di Elisabetta Garieri e Andrea FranzoniIllustrazioni di Giuditta ChiaraluceTraduzione di Elisabetta GarieriProgetto grafico di Giorgiomaria CornelioARGOLIBRI – collana Talee diretta da Fabio Orecchini e A. FranzoniPreorder fino al 22/11/2021, qui: In libreria dal 2/12/2021
***
«Ma ciò che vale ancor più delle parole, ancor più del chiaroscuro dei significati, è forse l’articolazione del discorso, la punteggiatura, la sintassi, il modo in cui il testo si estingue, cadendo all’improvviso, ma senza suono o peso, in uno sfondo imprecisato, senza chiudersi, senza finire.» Evghènios Aranìtsis, Le storie del lino, Eleftherotipìa, 17-7-1986.
«Come Ernst anche lei ama il mondo vegetale, conosce gli animali, ha compitato il linguaggio minerale. Nelle viscere della terra, la sua Principessa del carbone ha letto le poesie del mondo di sopra. «Chi ha detto: “I fiocchi del fuoco nella legna dell’inverno?”» domanda al minatore, che non sa risponderle. E tuttavia, come altri poeti, anche lei deve aver sofferto della passione dei surrealisti per la dominazione. Come le formiche, che soffrono a causa del grande formichiere, anche lei deve aver penato, tra uomini e psichiatri. Lei preferiva le coccinelle, le lenticchie, le camomille analfabete, i pesci nella boccia, i gechi, i grilli, i coriandoli. Piccoli personaggi che vivono all’ombra delle grandi macchine.
Non per questo le sue piccole favole sono leziose. Ogni tipo di situazione viene ribaltata ad arte, con un umorismo abrasivo che squarcia ogni illusione. Dallo spirito surrealista, così come dai classici dell’antichità (Eschilo, l’Odissea, gli oratori), l’autrice prende in prestito soltanto ciò che serve per rendere le sue favole quotidiane così singolari, tra sogno, enigma e gioco.»
Dall’Introduzione di Evanghelia Stead.
«In conclusione possiamo affermare che la poeta sia una grande ri-ordinatrice del mondo. In greco «mondo» si dice kósmos, parola che nella lingua antica indicava anche «l’ornamento», inteso come qualcosa di armoniosamente congegnato, ordinato, euritmico e quindi piacevole ai nostri sensi (oggi la parola che indica l’oggetto è kósmisma). Cosa c’è dunque da riordinare nel mondo-kósmos? In realtà è proprio il dato apparentemente definitivo, assemblato, concluso, che risulta problematico all’io, incapace di piegarsi all’ordine inteso come comando implicito di adeguamento alla realtà. Con il suo fiuto naturale per gli intoppi, i malfunzionamenti e il materiale di recupero con cui sanare i guasti e le difficoltà dell’essere, la poeta smonta il mondo e lo rimonta con risultati inattesi; scombina i suoi componenti, li capovolge, ci costringe a vedere le cose altrimenti per vederle davvero. Apre passaggi di parole che ci conducono dalla lingua ordinaria – e ordinata – che definisce il mondo e lo chiude, lo incastra nei significati convenzionali, alla lingua poetica, che lo libera facendolo ruotare, scintillare, rimbalzare, splendere come uno dei nostri migliori accessori, come la palla con cui possiamo ancora giocare ai giochi più belli.»
Tratto da «Io che sono fatta di carte da gioco», post-fazione di Francesca Sensini.