Pubblichiamo un’intervista inedita a Lello Voce per aprire un dibattito sulle poetiche contemporanee in vista di un confronto che effettueremo nelle prossime settimane tra Giorgiomaria Cornelio, curatore per Argolibri del volume “La radice dell’inchiostro. Dialoghi sulla poesia” che ha ospitato diversi autori legati a filo doppio con la tradizione avanguardistica del secondo Novecento, e Arnaldo Colasanti che, nell’antologia pubblicata da Bompiani, “Braci. La poesia italiana contemporanea” si ricollega alla tradizione della parola innamorata.
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All’inizio di questi anni Venti del nuovo secolo saremo in grado di riaprire un discorso sulle poetiche, un lungo discorso che ha contrassegnato il Novecento? La grande attenzione all’elaborazione teorica del fare poetico rimonta alla scuola filologica di Gianfranco Contini, debitrice dello storicismo di Francesco De Sanctis, e all’estetica fenomenologica di Antonio Banfi e Luciano Anceschi, mentre fu osteggiata dalla scuola neo-idealistica di Benedetto Croce e dei crociani. Dopo le aspre contese degli anni Sessanta, che videro contrapporsi sostenitori dello sperimentalismo (Pasolini e i redattori della rivista «Officina»), da una parte, e neo-avanguardisti (Sanguineti e i redattori della rivista «Il Verri»), dall’altra, negli anni Settanta è proseguita l’attenzione all’elaborazione teorica interna all’officina del poeta fino alla reazione di una corrente poetica che si riconobbe nella «parola innamorata», rifiutò la «critica storicistica» e le «sue diramazioni sociologizzanti», l’«imperialismo della semiologia», per affermare che «la poesia è parola colorata», «la gratuità del canto» è «dono», la parola poetica, oltre che essere «innamorata» e «colorata», è addirittura «rapinosa» (Giancarlo Pontiggia e Enzo Di Mauro, La statua vuota in La parola innamorata. I poeti nuovi 1976-1978, pp. 9-11). Fu l’indizio di un incipiente ripiegamento nell’interiorità che negli anni Ottanta non si verificò solo in poesia ma nella società italiana in generale, l’annuncio del disimpegno e dell’abbandono del campo agli animal spirits del capitalismo (Keynes). Al «letamaio» degli anni Ottanta, immortalato da Nanni Balestrini nel canto LXIII del poema Le avventure della signorina Richmond, la poesia italiana reagì in vari modi, tra cui, alla fine del decennio del riflusso, ci fu la ripresa della riflessione teorica e dell’elaborazione di una nuova poetica da parte dei poeti della rivista «Baldus» e di altri collettivi, riuniti nel Gruppo 93, in particolare i poeti del collettivo Kryptopterus Bicirrhis (Lorenzo Durante, Marcello Frixione, Gabriele Frasca, Tommaso Ottonieri), del collettivo genovese Altri luoghi (Marco Berisso, Pietro Cademartori, Guido Caserza, Paolo Getiluomo), e del gruppo napoletano della rivista «Baldus» (Mariano Bàino, Biagio Cepollaro, Lello Voce). Parteciparono anche i critici letterari che avevano fondato il collettivo Quaderni di critica (Filippo Bettini, Marcello Carlino, Aldo Mastropasqua, Francesco Muzzioli, Giorgio Patrizi), nonché alcuni membri del disciolto Gruppo 63 (come Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani, Nanni Balestrini e Elio Pagliarani) e altri critici e letterati tra cui assunsero un ruolo importante Romano Luperini, Francesco Leonetti e Renato Barilli.
Uno dei protagonisti di quella stagione fu Lello Voce. Lorenzo Azzaro, che ne ha studiato l’opera, lo intervistò nel 2006 con lo scopo di illuminare sia le relazioni tra le produzioni poetiche confluite nel Gruppo 93 e le posizioni teoriche e poetiche precedenti, sia la portata del confronto tra tendenza allegorico-materialista e tendenza neo-orfica.
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